Nel 1998, il grande egittologo tedesco Jan Assmann pubblica «Mosè l’egizio», il suo lavoro più radicale e innovativo. Riprendendo la tesi dell’ultimo libro di Freud – «L’uomo Mosè e la religione monoteistica» –, Assmann torna su una delle rimozioni più imponenti della cultura occidentale: l’esistenza, dietro il Mosè biblico, del dimenticato Mosè egizio, che aveva (o avrebbe) conosciuto il monoteismo attraverso la rivoluzione teologica di Akhenaton (Amenofi IV) ad Amarna, nel XIV secolo avanti Cristo. In breve tempo il libro di Assmann diventa oggetto di polemiche e controversie che vanno ben al di là della ristretta cerchia degli specialisti: si distingue per violenza la relazione di un ecclesiastico alle Settimane Universitarie di Salisburgo, nel 2000, nella quale all’egittologo viene imputato di aver incrinato il legame indissolubile tra monoteismo e giustizia divina, e quindi di aprire la strada a ogni nefandezza. In questo nuovo libro Assmann risponde ai propri dubbi come a quelle accuse, offrendoci nel contempo una densissima, folgorante meditazione su quel passaggio oscuro dell’Età del Bronzo – denominato appunto «distinzione mosaica» – che vede le religioni «primarie», fondate sul culto e sul sacrificio rituale, prima affiancate e poi contrastate dalle «secondarie», fondate sul Libro e sulla Rivelazione. Ne deriva una concezione paradossale del monoteismo come «controreligione», tesa a contrapporre non tanto l’unico Dio ai molti dèi, quanto il vero Dio ai falsi dèi che affollavano i Pantheon politeisti, da quello egizio a quello babilonese a quello greco-romano.
In tale prospettiva, Assmann argomenta come la distinzione stessa tra politeismo e monoteismo (effetto ottico prodotto a posteriori dalla modernità) vada sostituita con quella tra religioni inclusive ed esclusive: tra una visione orientata verso il mondo e un’altra che del mondo è «negatrice». Differenza, quest’ultima, che fuga ogni dubbio sulla possibilità (da alcuni intravista nella figura del Mosè egizio) di ricondurre il monoteismo all’alveo del cosmoteismo, cioè a quell’indebita fusione fra trascendenza e realtà sensibile che Assmann rinviene semmai proprio nel politeismo. Tornando infine, circolarmente, alla lettura freudiana (ulteriormente ripensata), Assmann individua nella «distinzione mosaica» l’origine profonda dell’«universo psichico» dell’uomo occidentale: prodotto dalla rimozione – dall’uccisione – di un Padre che ritorna (il Mosè egizio), il monoteismo ebraico è la religione, più di ogni altra, fondata sulla norma e sull’introiezione della moralità.